Introduzione
Anche a costo di sembrare eccessivamente ripetitivi e quasi scontati, non può, tuttavia, non rilevarsi il fatto che la decisione sottoposta all’odierna analisi rappresenti l’ennesima conseguenza di una vicenda mal gestita fin dall’inizio sia a livello legislativo, sia a livello di attuazione amministrativa: quella dell’amianto e dei benefici connessi alla relativa esposizione qualificata. L’assoluta genericità delle previsioni legislative e regolamentari in materia (ivi compresi i famosi atti di indirizzo ministeriali) ha costretto e costringe tuttora i giudici di merito e di legittimità ad uno sforzo interpretativo notevole per tentare di colmare il vuoto normativo creatosi[1]. All’interno di questo calderone di leggi e leggine (in nove pagine di sentenza vengono citate nove diverse fattispecie normative) si pone il problema dei rapporti tra i diversi Enti pubblici deputati da un lato all’accertamento dell’esposizione qualificata (INAIL) e dall’altro all’accredito dei relativi benefici contributivi ex articolo 13, comma 8, della legge 257 del 1992 (INPS).
In altre parole, i magistrati della Corte d’Appello di Genova sono stati chiamati dall’INPS a riformare la sentenza n. 892/2013 del Tribunale di Genova, in funzione di Giudice del Lavoro, che aveva condannato il predetto Ente previdenziale a rispondere di un danno verosimilmente provocato dall’INAIL e ciò per il semplice fatto che quest’ultimo, in quanto soggetto deputato al rilascio delle certificazioni amministrative di esposizione qualificata all’amianto, non può che essere considerato quale mero organo tecnico dell’INPS, unico soggetto al quale dovrebbe ricondursi (sempre a detta del giudice di prime cure) la titolarità di ogni situazione giuridica soggettiva attiva e passiva inerente i benefici pensionistici da amianto. Posto che l’intreccio di fatti che ha portato a sollevare la questione dei rapporti (e delle relative responsabilità) tra INPS e INAIL emerge chiaramente dalle motivazioni in fatto della sentenza di secondo grado, si tratta di ripercorrere le ragioni in diritto che hanno spinto il Collegio a ribaltare la decisione del Tribunale, con ciò mandando esente l’INPS da qualsiasi responsabilità per fatti imputabili all’INAIL Sono sostanzialmente tre i motivi per cui la Corte d’Appello di Genova conclude per la totale autonomia dei poteri certificativi dell’INAIL rispetto all’INPS e, conseguentemente, per l’irresponsabilità dell’Ente previdenziale per errori commessi dall’Ente pubblico assicurativo: l’espressa previsione normativa in tal senso, (almeno secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte), l’assenza di qualsiasi violazione di regola di condotta da parte dell’INPS ed infine (anche se nella sentenza di secondo grado non lo si cita direttamente) l’articolo 24 della Costituzione.
[1] Altra questione spinosa in materia di benefici pensionistici da esposizione qualificata all’amianto riguarda, ad esempio, l’applicabilità o meno alla relativa domanda del termine decadenziale introdotto dall’articolo 38 del d.l. n. 98/2011 convertito in legge n. 111/2011. Per un interessante approfondimento sul punto si rinvia a R. RIVERSO, Amianto: nella torre di Babele della decadenza previdenziale, in RGL, 2013 – 3.
L’assenza di responsabilità dell’INPS per errori nella certificazione di esposizione all’amianto rilasciata dall’INAIL
Con riferimento alla prima argomentazione, ovvero quella inerente all’interpretazione delle norme che almeno genericamente sembrano essere intervenute a disciplinare i rispettivi ambiti di operatività dei due enti pubblici, il Collegio opera una netta divisione tra il periodo 1992 – 2002 (ovvero il primo decennio di applicazione dei benefici da esposizione ad amianto) e gli anni successivi al 2002. In particolare, lo spartiacque sarebbe rappresentato dall’articolo 18, comma ottavo, della legge n. 178 del 2002, a norma del quale “le certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni”. Correttamente si osserva che la norma de qua sancisce una netta divisione rispetto alla prassi precedente, in cui i rapporti tra INPS ed INAIL erano informati esclusivamente a circolari INPS o tutt’al più ad accordi inter-amministrativi. Sul punto, tuttavia, la Corte non approfondisce, anche se il riferimento specifico a qualche circolare sarebbe stato, forse, opportuno, anche in considerazione del fatto che su tali atti si è radicato un certo orientamento di legittimità, contrastato dai giudici genovesi con la presente sentenza. Si osservi, ad esempio, il caso delle circolari INPS n. 129 del 27 aprile 1994 e n. 304 del 15 dicembre 1995[1], dalle quali emergeva con chiarezza il fatto che l’attività accertativa svolta dall’INAIL fosse meramente tecnica e comunque accessoria alla formazione della volontà tecnica dell’INPS (tanto che gli stessi formulari con cui doveva pronunciarsi l’INAIL erano contenuti in quelle stesse circolari dell’INPS, le quali, tra l’altro, qualificavano le attività da compiersi ad opera del primo Ente come meri adempimenti, quasi a voler radicare una sorta di gerarchia amministrativa tra i due istituti pubblici). Sulla falsariga di tali atti amministrativi, che in maniera forse incompetente (nel senso tecnico del termine, cioè al di là della loro competenza giuridica) hanno fornito una loro interpretazione della legge n. 257 del 1992 (attività, quest’ultima, che l’ordinamento riserva solo al legislatore in via autentica o al giudice in via applicativa), la Suprema Corte ha ritenuto che le certificazioni INAIL di esposizione (o meno) all’amianto, rilasciate o da rilasciarsi sulla base della procedura amministrativa stabilita in sede congiunta da INPS, INAIL, Ministero del lavoro e parti sociali, esplicitata nella circolare Inps 13 dicembre 1995 n 304, esauriscano i propri effetti nell’ambito della suddetta procedura e non assumano carattere vincolante in ordine ai fatti attestati[2]. Questo, ovviamente, non significa criticare la posizione assunta all’epoca dalla Corte di Cassazione, dal momento che mancava completamente qualsiasi riferimento normativo in materia di efficacia delle certificazioni INAIL di esposizione all’amianto (che fosse diverso da quanto poteva evincersi dalle predette circolari amministrative).
Quello che, tuttavia, si intende evidenziare in questa sede, con ciò allineandosi alla posizione assunta dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza in esame, è il fatto che le cose sono cambiate, quantomeno a partire dalla data di entrata in vigore della legge 31 luglio 2002 n. 179, il cui articolo 18, comma ottavo, come sopra accennato, attribuisce efficacia specifica alle certificazioni INAIL di esposizione all’amianto, sia pure con riferimento espresso a quelle rilasciate sulla base degli atti di indirizzo ministeriali.
Il giudice previdenziale del 2013 interpreta correttamente la norma citata nel senso di ritenere che “dalla previsione di legge deriva un potere certificativo, da svolgersi secondo specifiche modalità (raffronto con gli atti di indirizzo) e latore di effetti parimenti precisi, vincolanti verso l’INPS” per cui “l’intervento INAIL non può ridursi al rango di mero ausilio tecnico, potenzialmente disattendibile dall’ausiliato, ma assume i caratteri propri dell’autonomo potere certificativo”. Anche la giurisprudenza sembra essersi conformata, in linea di massima, al diverso approccio legislativo, quantomeno sotto il profilo del riconoscimento del diverso (maggior, se non addirittura autonomo) valore da attribuirsi alle dichiarazioni di esposizione all’amianto rilasciate dall’INAIL In tal senso, infatti, devono leggersi le numerose sentenze di Cassazione che, a partire dal 2006, hanno cristallizzato il principio per cui l’accertamento tecnico di cui si è detto assume il valore di presunzione grave, precisa e concordante, che il giudice ben può porre a base della decisione, ove non siano state mosse specifiche contestazioni dall’interessato in ordine all’erroneità dell’accertamento, sul quale interessato, in ogni caso, incombe l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto azionato[3]. Dal che ne deriva, inevitabilmente, anche una ridefinizione dei ruoli e delle specifiche responsabilità da ascriversi a ciascuno dei due soggetti pubblici coinvolti (stavolta ciascuno nell’ambito delle proprie autonome attività procedimentali) nell’applicazione della legge n. 257 del 1992 e successive modifiche.
Tale dicotomia amministrativa, che in apparenza potrebbe sembrare solo un fatto formale, vale in realtà ad escludere a pieno titolo la responsabilità dell’I.N.P.S. nei confronti dell’appellato. In questo panorama, caratterizzato, come si è visto, da un vero e proprio ribaltamento normativo e giurisprudenziale dei rapporti di responsabilità tra INAIL ed INPS, c’è infatti un dato che rimane fermo: la natura della responsabilità eventualmente gravante in capo all’INPS per avere fornito all’assicurato una erronea indicazione del numero dei contributi versati resta di tipo contrattuale. Nella sentenza in commento, la questione è appena accennata (in realtà, neppure in maniera molto chiara[4]), ma essa merita comunque una brevissima considerazione aggiuntiva. Nel caso oggetto della controversia, infatti, l’INPS, in data 02/02/2005 e 09/05/2008, aveva emesso due estratti conto certificativi riportanti la rivalutazione della contribuzione ai sensi dell’articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, alla luce dei quali il lavoratore si era dimesso nel 2008 per potere usufruire, fino alla data del pensionamento (nel 2011), dell’assegno straordinario previsto dal fondo di solidarietà per le aziende creditizie. In tal caso, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la condotta dell’Ente previdenziale non possa essere ricondotta alla fattispecie della responsabilità aquiliana, in quanto essa è fondata sull’inadempimento dell’obbligo legale, gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche in virtù delle clausole generali di correttezza e buona fede applicabili al rapporto ex articolo 97 Cost., di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quale, appunto, il diritto al pensionamento ex articolo 38 Cost.) fornendo informazioni errate o anche solo dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo[5].
Ebbene, trattandosi di responsabilità contrattuale, l’INPS non sarà chiamata a rispondere del danno sofferto dall’assicurato soltanto nella misura in cui fornisca la prova che il fatto dannoso dipende da un evento non imputabile all’Istituto, ovvero che l’evento dannoso è imputabile, in tutto o in parte, al mancato uso dell’ordinaria diligenza da parte dello stesso danneggiato[6]. Così anche si legge in dottrina, per cui “il debitore – Inps potrà liberarsi della responsabilità posta a suo carico solo in ipotesi di impossibilità oggettiva della prestazione, fattispecie che nel nostro campo appare di scuola, allorquando provi che l’erroneità della comunicazione sia da rinvenirsi in un fatto a lui non imputabile, in quanto messo in opera inconsapevolmente o senza essere in grado di gestirlo, e, in ogni caso, abbia posto in essere tutte le misure idonee ad evitare una comunicazione erronea dei dati della posizione previdenziale dallo stesso gestita”[7]. Ed è proprio questo il motivo per cui, nel caso concreto, non può configurarsi alcuna responsabilità in capo all’INPS, e cioè perché essendo l’INAIL titolare di un autonomo potere certificativo, l’Ente previdenziale chiamato a rivalutare i contributi ex legge n. 257 del 1992 non ha alcun potere di intervento nei confronti di questi, né, come si citava pocanzi, è “in grado di gestire” gli eventuali errori nel rilascio della certificazioni di esposizione all’amianto, esulando del tutto tale attività dalla propria sfera di competenze. Tale ricostruzione trova riscontro pure nella giurisprudenza di merito, la quale, in un caso analogo, ha escluso qualsiasi responsabilità in capo all’INPS in relazione al mancato tempestivo riconoscimento della maggiorazione contributiva da rischio di esposizione professionale ad amianto, nonché per la ritardata liquidazione del relativo trattamento pensionistico, quando ciò sia dovuto a mancanza della necessaria certificazione INAIL[8]
La stessa considerazione vale, altresì, ad escludere la sussistenza, nel caso di specie, di qualsiasi forma di responsabilità da contatto sociale, come invece sostenuto dalla difesa dell’appellato, in quanto tale fattispecie, pur prescindendo dall’esistenza di un vero e proprio contratto tra le parti, postula comunque la violazione di una regola di condotta da parte del presunto responsabile, regola che, per i motivi testé prospettati, non può certamente dirsi violata da parte del’INPS (in questo senso la Corte d’Appello fa correttamente riferimento a Cass. Civ., sez. I, 11 luglio 2012 n. 11642).
Del resto (e con ciò ci si riferisce al terzo profilo argomentativo), l’INAIL è da sempre soggetto dotato di propria autonoma personalità giuridica, per cui nulla impedisce di agire per il ristoro dei danni nei confronti di quest’ultimo, altrimenti configurandosi una manifesta violazione dell’articolo 24 della Costituzione. Almeno nelle Marche è così. A titolo esemplificativo, infatti, basti citare l’orientamento, radicatosi un seno alla Corte d’Appello di Ancona a partire dai primi anni duemila, che ha pacificamente configurato la responsabilità extracontrattuale dell’INAIL sia nell’ipotesi in cui l’Ente, dopo avere rilasciato attestazione negativa di esposizione all’amianto, rettifichi la stessa nel corso del processo intentato dal lavoratore nei confronti dell’INPS (unico legittimato passivo) per il riconoscimento dei benefici pensionistici da esposizione all’amianto[9], sia nel caso in cui l’INPS risulti soccombente in sede processuale a causa dei negligenti accertamenti compiuti dalla Contarp, struttura tecnica dell’INAIL[10]
Sicché non può configurarsi in capo all’INPS alcuna responsabilità per errori (presunti o meno, comunque autonomamente) commessi dall’INAIL nell’ambito della propria attività certificativa come, appunto, è accaduto nel caso in esame, in cui l’INAIL, a seguito di procedimento di riesame in autotutela, aveva revocato due certificazioni di esposizione all’amianto a distanza di sette anni dal relativo rilascio, con conseguente sopravvenuta impossibilità per il ricorrente di primo grado di fruire della pensione di anzianità a partire dal 01/01/2011, essendo venuta meno la contribuzione speciale da amianto.
[1] Si riporta, in particolare, un estratto della circolare INPS n. 304/1995: “La problematica riguardante l’accesso al beneficio in argomento e’ stata di recente oggetto di un riesame svolto congiuntamente al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, all’INAIL ed alle parti sociali interessate. Tale riesame si e’ reso necessario al fine di delineare un quadro di riferimento certo ed univoco per l’applicazione della norma in oggetto, con particolare riguardo alla difficoltà sorta, in alcune realtà aziendali complesse, di reperire riscontri oggettivi dell’effettivo periodo di esposizione all’amianto riferito al singolo lavoratore. In sede ministeriale si e’ ravvisata, pertanto, l’opportunità di affidare all’INAIL l’incarico dell’accertamento del rischio di esposizione all’amianto per ogni lavoratore che ne faccia motivata richiesta nonché del rilascio dell’attestazione dei periodi di esposizione. L’INAIL svolgerà i propri adempimenti secondo le modalità di seguito illustrate, approvate dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale”. Per una consultazione integrale del testo della circolare, si rinvia al sito internet dell’INPS www.inps.it
[2] Cass. Civ., sez. lavoro, 23 gennaio 2003 n. 997.
[3] Cass. Civ., sez. lavoro, 22 dicembre 2006 n. 27451. Nello stesso senso v. anche Cass. Civ., sezione lavoro, 27 aprile 2007 n. 10037 e Cass. Civ., sez. lavoro, 2 agosto 2010 n. 17977.
[4] Nelle motivazioni in diritto si legge solo che “Semmai, ed in questo che va probabilmente intesa l’argomentazione del Tribunale, deve vagliarsi l’ipotesi che l’attività dell’I.N.A.I.L. possa essere qualificata come quella di un ausiliario dell’I.N.P.S., dei cui atti (anche) quest’ultimo risponda, a titolo contrattuale, ai sensi dell’art. 1228 c.c.”.
[5] Cass. Civ., sez. lavoro, 19/09/2013 n. 21454. Si veda anche Cass. Civ., sez. lavoro, 8 aprile 2002 n. 5002, che, pur giungendo alla medesima conclusione per cui trattasi di responsabilità contrattuale, si fonda sull’inosservanza del generale obbligo dell’ente previdenziale, ex articolo 54 legge n. 88 del 1989, di informare l’interessato sulla sua posizione assicurativa e pensionistica, ove questi ne faccia richiesta.
[6] Cass. Civ., sez. lavoro, 19 settembre 2011 n. 19089.
[7] A. SGROI, L’attività di certificazione e la responsabilità dell’I.N.P.S. in DeG – Dir. e Giust., fasc. 20, 2004, pag. 42.
[8] Corte d’Appello di Ancona, sezione lavoro, 09/05/2012 n. 481.
[9] Corte d’Appello di Ancona, sezione lavoro, 22/08/2001.
[10] Corte d’Appello di Ancona, sezione lavoro, 03/04/2002.
Conclusioni
Al di là della questione centrale inerente i confini della responsabilità di I.N.P.S. e I.N.A.I.L. in ordine alla procedura prevista per il conseguimento dei benefici pensionistici stabiliti dall’articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, e risolta nel senso della mancanza di responsabilità dell’I.N.P.S. per errori commessi dall’I.N.A.I.L. durante l’autonoma fase amministrativa di certificazione dell’esposizione professionale all’amianto, la vicenda (processuale) in esame si caratterizza, stranamente, per l’assenza di domande che, forse, avrebbero potuto essere esperite. Come infatti traspare dalle righe della sentenza della Corte d’Appello di Genova, tutti i magistrati che si sono occupati della vicenda (primo e secondo grado) avrebbero voluto dire qualcosa di più, svolgere qualche ulteriore interessante passaggio giuridico, ma non hanno potuto perché le parti non gliel’hanno chiesto. In particolare, il Tribunale di Genova avrebbe voluto pronunciarsi sull’eventuale azione di rivalsa tra I.N.A.I.L. ed I.N.P.S., ma la relativa domanda non era stata azionata. Allo stesso modo, la Corte d’Appello adita, posta l’autonoma responsabilità dell’I.N.A.I.L., avrebbe voluto pronunciarsi sulla legittimità o meno della revoca delle certificazioni alla luce dell’articolo 21 novies della legge n. 241 del 1990, ma non ha potuto essendo mancato il gravame nei confronti di tale ente pubblico. Fermo restando che sarebbe interessante ascoltare, sul punto, quello che ha da dire la Corte di Cassazione (sempre che le parti glielo chiedano), resta il fatto che al ricorrente (appellato), tutto sommato, non è poi andata così male, dal momento che, per effetto dell’articolo 42 quater della legge n. 98 del 2013, gli è stata comunque erogata la pensione, seppur solo dal 01/09/2013 (anziché dal 01/01/2011). Della serie: chi si accontenta gode.